mercoledì 27 luglio 2011

LE PAROLE


Foto di Enrico Pennazza

Siamo abituati alle parole per il fatto di usarle e siamo talmente intorpiditi dal loro uso che abbiamo bisogno ogni tanto di prenderle una per una e di osservarle, per determinare, per quanto ci è possibile, non solo come la parola arrivi ad esistere attraverso la poesia della sua etimologia, ma anche i modi in cui la usiamo in questo momento»
(D. W. Winnicott, 1968c)
  Questo “intorpidimento” ci spinge a giudicare gli altri per stereotipi, imprigionando chi ci circonda, e forse anche noi stessi, in categorie preconfezionate e questo non ci consente di individuare gli altri nella loro unicità. Perdere l’essenza significa perderci le peculiarità e le caratteristiche intrinseche di ogni individuo e questo non ci permette di cogliere  quei piccoli spiragli che, se allargati, risultano essere delle vere e proprie finestre in mondi sempre nuovi.
  Perché accontentarci di  relazioni innaturali? Esse non fanno altro che conferirci un immeritato senso di superiorità o inferiorità che finisce per privarci di cogliere il lato migliore delle persone che ci circondano e, non da meno, di perdere l’occasione di conoscere cose nuove su noi stessi. 
    Se osserviamo le parole che si presentano a noi una ad una, se smontiamo e rimontiamo le frasi e i concetti che ci vengono offerti,  scopriremo quanto ci possono raccontare su chi le ha pronunciate o scritte, chi e che persona è, da dove viene e dove vuole andare, quali sono i suoi sogni e le sue paure più recondite e.. perfino i suoi punti luce e le zone ombra.

©Anna Biason

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